Cancellazione dal registro imprese, rapporti debitori e processuali

Sez. Un., 12.03.2013, n. 6070
(presidente Preden, relatore Rordorf)
Estinzione – Cancellazione dal registro delle imprese – Soci – Successione – Riflessi processuali – Limiti (art. 2495 cod. civ.; D.Lgs. 06.11.2007, n. 203)

La massima – Qualora all’estinzione della società, conseguente alla sua cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtù del quale: le obbligazioni si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, “pendente societate”, essi fossero o meno illimitatamente responsabili per i debiti sociali; si trasferiscono del pari ai soci, in regime di contitolarità o di comunione indivisa, i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, ma non anche le mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, né i diritti di credito ancora incerti o illiquidi la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la società vi abbia rinunciato. Ancora: la cancellazione volontaria dal registro delle imprese di una società, a partire dal momento in cui si verifica l’estinzione della società medesima, impedisce che essa possa ammissibilmente agire o essere convenuta in giudizio. Se l’estinzione della società cancellata dal registro intervenga in pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interruttivo del processo,
disciplinato dagli articoli 299 e segg. cod. proc. civ., con possibile successiva eventuale prosecuzione o riassunzione del medesimo giudizio da parte o nei confronti dei soci. Ove invece l’evento estintivo non sia stato fatto constare nei modi previsti dagli articoli appena citati o si sia verificato quando il farlo constare in quei modi non sarebbe più stato possibile, l’impugnazione della sentenza pronunciata nei riguardi della società deve provenire o essere indirizzata, a pena d’inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci. Ove invece l’evento estintivo non sia stato fatto constare nei modi previsti dagli articoli appena citati o si sia verificato quando il farlo constare in quei modi non sarebbe più stato possibile, l’impugnazione della sentenza pronunciata nei riguardi della società deve
provenire o essere indirizzata, a pena d’inammissibilità, dai soci o nei confronti dei soci succeduti alla società estinta. (Massima non ufficiale).

La Suprema Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con sentenza n. 6070/2013, viene chiamata a pronunciarsi in tema di estinzione di società, cancellazione dal registro delle  imprese, rapporti debitori e rapporti processuali. In particolare, la Corte d’Appello di Napoli, riformando una pronuncia resa in primo grado, aveva condannato il Comune “A” a pagare ad una società in accomandita semplice (“R. s.a.s. in liquidazione”), una cospicua somma, determinata in 402.649,22 euro, oltre a interessi, a titolo di corrispettivo per l’esecuzione di lavori pubblici eseguiti dalla società su incarico dell’ente locale.

La sentenza viene impugnata con ricorso, a sua volta contestato sul presupposto che il predetto credito era stato ceduto dalla R. s.a.s. in liquidazione e, sul presupposto che la società in commento «è da considerare estinta dal momento della cancellazione della
stessa dal registro delle imprese, onde l’impugnazione non avrebbe potuto essere ad essa indirizzata». Altresì il procedimento viene arricchito a seguito della notifica al comune “A” ed alla società R. s.a.s. in liquidazione, della richiesta del pagamento delle spese processuali da parte dell’avvocato della società.

Le Sezioni Unite della Cassazione vengono così chiamate a fare il punto sulla «sorte dei rapporti processuali pendenti nel momento in cui una società (nella specie, una società di persone) venga cancellata dal registro delle imprese». Viene così nuovamente affrontata la questione relativa agli effetti della cancellazione della società dal registro delle imprese, disciplina novellata a seguito della riforma del diritto societario, di cui al D.Lgs. n. 6/2003, s.m.i.; la questione degli effetti della cancellazione della società, peraltro era già stata recentemente affrontata dalla giurisprudenza. In particolare, le sentenze di Cassazione richiamate nella pronuncia (Cass. 4060, 4061 e 4062/2010), avevano sottolineato la valenza innovativa dell’art. 2495 cod.civ., che è del seguente tenore: «Cancellazione della società – Approvato il bilancio finale di liquidazione, i liquidatori devono chiedere la cancellazione della società dal registro delle imprese. Ferma restando l’estinzione della società, dopo la cancellazione i creditori sociali non soddisfatti possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi. La domanda, se proposta entro un anno dalla cancellazione, può essere notificata presso l’ultima sede della società».

Viene così ravvisato che la cancellazione produce senz’altro l’effetto estintivo della società (contrariamente a quanto accadeva ante riforma del diritto societario). Il provvedimento precisa che la natura della cancellazione presso il registro delle imprese è differente per le società di persone e per quelle di capitali: nelle prime, infatti, si tratta di pubblicità meramente dichiarativa, superabile con prova contraria. Viene affermato che per superare la presunzione di estinzione della società, «occorre la prova di un fatto dinamico: cioè che la società abbia continuato in realtà ad operare – e dunque ad esistere – pur dopo l’avvenuta cancellazione dal registro», ammettendo così la Cassazione, con un’altra pronuncia, la cancellazione della cancellazione (Cass. n. 8426/2010).

Ciò detto, le Sezioni Unite concentrano l’attenzione sulle conseguenze che possono derivare in ordine ai rapporti già in capo alla società estinta, ma tuttora pendenti in quanto trascurati o sopravvenuti, analizzando il profilo dei rapporti attivi e di quelli passivi.
Relativamente a questi ultimi, il comma 2 dell’art. 2495 cod. civ., sopracitato, afferma espressamente che i creditori sociali tuttora non soddisfatti al momento della  cancellazione della società, «possono far valere i loro crediti nei confronti dei soci, fino alla concorrenza delle somme da questi riscosse in base al bilancio finale di liquidazione, e nei confronti dei liquidatori, se il mancato pagamento è dipeso da colpa di questi». Viene stabilito un termine di decadenza al fine dell’esercizio del diritto, determinato in un anno dalla cancellazione. Dal tessuto normativo regolante la materia, non emerge la volontà del legislatore di dichiarare estinti i rapporti con la formalità di cancellazione della società: una simile situazione, infatti, pregiudicherebbe ingiustificatamente i creditori sociali insoddisfatti al momento della formalità di cancellazione.

Secondo la pronuncia, naturale conseguenza della mancata estinzione delle posizioni creditorie è il passaggio dei debiti insoddisfatti, alla data di cancellazione della società, in capo ai successori dell’ente, configurandosi così un’ipotesi di successione inter vivos.

Secondo i giudici, «la ratio della norma (…) risiede nell’intento d’impedire che la società debitrice possa, con un proprio comportamento unilaterale, che sfugge al controllo del creditore, espropriare quest’ultimo del sui diritto. Ma questo risultato si realizza appieno solo se si riconosce che i debiti non liquidati della società estinta si trasferiscono in capo ai soci, salvo i limiti di responsabilità nella medesima norma indicati».

Viene affermato che è da considerare quale naturale conseguenza della cancellazione della società la ripercussione dei rapporti ancora in itinere nella sfera giuridica dei soci, configurandosi così il fenomeno alla stregua di un rapporto successorio: in particolare si tratterebbe di successione inter vivos (qualificazione attribuita dalla dottrina anche all’operazione straordinaria di fusione, anteriormente alla riforma del diritto societario).

La tesi del fenomeno successorio è avvalorata dalla circostanza che i soci sono chiamati a rispondere del medesimo rapporto già in capo all’ente estinto, e non ad una situazione giuridica sorta ex novo e ad essi stessi imputabile ab origine.

I giudici, nella motivazione a sentenza, affrontano poi la questione della responsabilità dei soci nelle società di capitali, ove, essi stessi, il più delle volte (salvo il caso dell’accomandatario di s.a.p.a.), rispondono intra vires: viene affermato che tale
circostanza, tuttavia, non sia sufficiente a far venir meno il fenomeno successorio tipico del rapporto in commento.

Relativamente poi il termine di un anno, entro il quale poter far valere il diritto, viene sottolineato il collegamento che l’art. 2495 cod. civ. in commento ha con l’art. 303 cod. proc. civ., sulla continuazione del processo: detta ultima norma consente che, entro l’anno
dalla morte della parte, possa essere notificato l’atto di riassunzione agli eredi nell’ultimo domicilio del defunto. Entro detto termine, conseguentemente, «i soci possono esser chiamati a rispondere dei debiti insoddisfatti della società estinta».

Invece, relativamente alle situazione attive (attivi non liquidati e sopravvenienze attive), tuttora in essere al momento della cancellazione della società dal registro delle imprese, secondo alcuni, tale formalità andrebbe interpretata come «tacita manifestazione di volontà di rinunciare alla relativa pretesa»: la cancellazione della società potrebbe essere  interpretata come «univoca manifestazione di volontà di rinunciare a quel credito (…) privilegiando una più rapida conclusione del procedimento estintivo».

Secondo altri, opererebbe ugualmente il fenomeno successorio innanzi delineato per la successione dei rapporti passivi; per altri ancora, si verrebbe a configurare una situazione assimilabile a quella dell’eredità giacente, cui conseguirebbe la necessità di nominare un curatore speciale.

Viene affermato che è ragionevole ipotizzare che la titolarità dei beni e dei diritti residui o sopravvenuti torni ad essere direttamente imputabile a coloro che della società costituiscono il sostrato personale: «il fatto che sia mancata la liquidazione di quei beni o di quei diritti, il cui valore economico sarebbe stato altrimenti ripartito tra i soci, comporta che, sparita la società, s’instauri tra i soci medesimi, (…) un regime di contitolarità o di comunione indivisa, onde anche la relativa gestione seguirà il regime proprio della
contitolarità o della comunione».

In conclusione, le Sezioni Unite affermano che, una volta cancellata la società, «le obbligazioni si trasferiscono ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, “pendente societate”, essi
fossero o meno illimitatamente responsabili per i debiti sociali; si trasferiscono del pari ai soci, in regime di contitolarità o di comunione indivisa, i diritti ed i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della società estinta, ma non anche le mere pretese, ancorché azionate o azionabili in giudizio, né i diritti di credito ancora incerti o illiquidi la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attività ulteriore (giudiziale o extragiudiziale) il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere
che la società vi abbia rinunciato».

Infine, in merito al profilo processuale, è evidente che, una volta cancellata, non esiste più l’ente società e, conseguentemente, lo stesso non può essere “parte processuale”: non potrà quindi instaurare un nuovo procedimento, o essere chiamata quale parte convenuta, ovvero, impugnare provvedimenti giudiziari. Qualora la cancellazione della società dal registro delle imprese intervenga in pendenza di un giudizio del quale la società è parte, si determina un evento interruttivo del processo, disciplinato dagli articoli 299 e seguenti cod. proc. civ., con facoltà di proseguire o riassumere il procedimento nei confronti o da parte dei soci.

Secondo i giudici, quindi, il principio enunciato del fenomeno successorio per i debiti sociali, consente di applicare il disposto di cui all’art. 110 cod. proc. civ. “Dell’esercizio dell’azione”, avente il seguente tenore: «Quando la parte viene meno per morte o per altra
causa, il processo è proseguito dal successore universale o in suo confronto», anche ai rapporti processuali. Qualora poi la società sia stata cancellata – secondo le Sezioni Unite
– appare inammissibile che la società non più esistente possa impugnare un provvedimento: sarà quindi necessario che la prosecuzione del processo venga esperita da una “giusta parte”.

Leggi anche:

Variazione tasso interessi moratori dal 2002 al 2024

Dal Al Tasso BCE Maggiorazione Totale(Tasso di mora) Maggioraz.art.4, comma 2DLgs 198/2021 Tasso di moramaggiorato 08.08.2002 31.12.2002 3,35% 7,00% 10,35% 2% 12,35% 01.01.2003 30.06.2003 2,85% 7,00% 9,85% 2% 11,85% 01.07.2003 31.12.2003 2,10% 7,00% 9,10% 2% 11,10%...

Saggio – Interessi nelle transazioni commerciali

Attuazione della Direttiva 2000/35/CE "Lotta contro i ritardati pagamenti nelle transazioni commerciali" TASSI DI MORA ex d.lgs. 231/2002 Dal Al Tasso B.C.E. Maggiorazione Totale 01/07/2002 31/12/2002 3,35% 7,00% 10,35% 01/01/2003 30/06/2003 2,85% 7,00% 9,85%...